Chiesa Parrocchiale di San Giovanni Battista (XIX SEC.)
È la chiesa parrocchiale della Frazione di S. Giovanni Perucca, la più popolata di Trinità. La costruzione di questa chiesa richiese due anni di lavoro: iniziata il 21 ottobre del 1852, terminò il 21 novembre del 1854. Pur non costituendo un monumento di valore artistico rilevante, la chiesa di S. Giovanni ha una significativa importanza nella storia di fine millennio della gente della frazione che, intorno ad essa, ha costruito una solida comunità con una forte identità locale.Nel 1989 la chiesa è stata sottoposta ad alcuni lavori di restauro che hanno riguardato la pulitura della facciata e della parete che fiancheggia il monumento ai Caduti e la sostituzione, con materiale d’epoca, dei mattoni deteriorati dal tempo.
Chiesa Parrocchiale della Santissima Trinità (XVIII SEC.)
Fu costruita con il concorso della comunità trinitese in sostituzione di quella precedente che sorgeva accanto all’attuale campanile romanico del XV secolo (consolidato e restaurato ad opera del Comune tra il 2002 e il 2004) e che minacciava di cadere in rovina. Della ex chiesa abbaziale della Santa Trinità sono ancora visibili, alla base della torre campanaria, l’impronta dell’abside centrale e l’attacco della navata laterale. Dalla visita pastorale di mons. Gerolamo Scarampi nel 1582, si evince che l’antica parrocchiale era a tre navate e possedeva undici altari non consacrati, alcuni eretti a ridosso di pilastri, altri costruiti all’interno di cappelle.La chiesa parrocchiale è opera dell'arch. G. B. Borra, doglianese (1713-1786), che ne tracciò il progetto nel 1759. La costruzione durò 18 anni; la solenne consacrazione risale al 7 ottobre 1797. Lo stile della chiesa si pone tra il barocco e il neo-classico. La facciata, tutta in mattoni a vista, è composta di due parti nettamente distinte: quella inferiore costituita dal portico, che si protende in avanti ed è sormontato dalla balconata in pietra arenaria, quella superiore coronata dal grande timpano con l'emblema della SS. Trinità, al di sopra del finestrone incluso nell'ampia curva di arco a tutto sesto. La chiesa è davvero imponente nelle sue dimensioni: misura internamente 21 metri di altezza, 41 di lunghezza, 22 e 50 di larghezza. L'interno è a navata unica, notevole per il grande spazio e per l'abbondante decorazione. La volta a botte è illuminata da grandi finestre e termina nel largo semi-catino absidale. Lateralmente si aprono sei cappelle. Sul lato dell’Epistola (a destra entrando) si trovano le cappelle di S. Giuseppe, di S. Francesco Saverio (patrono di Trinità prima di S. Giorgio) e della Concezione. Al primo altare si riuniva la compagnia di S. Luigi Gonzaga fondata nel 1818 e presumibilmente anche quella più antica degli Agonizzanti fondata sotto il pontificato di Innocenzo XIII nel 1721. L’altare di S. Francesco Saverio era di patronato del Comune, mentre la cappella della Concezione ospitava la congregazione dei sacerdoti sotto il titolo di S. Filippo Neri e del Terz’ Ordine francescano, che nel 1885 contava più di 160 iscritti. Sul lato del Vangelo (a sinistra entrando) si trovano la cappella di S. Caterina e S. Vincenzo, quella del Suffragio e infine la cappella del Rosario.La famiglia dei Conti Costa, signori di Trinità, Bene Vagienna e Carrù dal XV secolo, possedeva una tribuna in chiesa sul lato del Vangelo. La chiesa parrocchiale, dedicata alla S.S. Trinità, presenta un ricco repertorio di produzione pittorica settecentesca, al quale si intrecciano più opere seicentesche probabilmente provenienti dall’antica parrocchiale, nonchè pale e decorazioni eseguite nel corso del XIV secolo. Il desiderio della Comunità di avere una chiesa prestigiosa è evidente, non solo dall’imponenza degli altari in stucchi policromi e dai dipinti di buona qualità, ma anche e soprattutto dalla committenza per la pala del coro a un pittore come Giovanni Battista Biscarra. In vista del bicentenario della dedicazione della Parrocchiale alla SS. Trinità, celebrato nel 1997, la facciata della chiesa è stata sottoposta a un intervento di restauro conservativo che ha restituito all'edificio l'antico splendore. I lavori, ordinati dalla Parrocchia, sono stati realizzati tra il 1995 e il 1996. Il campanile, di stile romanico lombardo, è l’unica testimonianza superstite della vecchia parrocchiale, demolita nel Settecento, sorge poco distante dall’attuale edificio sacro.La slanciata costruzione culmina con un’alta guglia prismatica circondata, ai quatto angoli di base, da altrettanti pinnacoli in cotto.
Chiesa di Santa Elisabetta (XVI SEC.)
È attigua alla Confraternita dei Battuti Rossi e al campanile. Si tratta di un’aula medievale, prima oratorio della stessa Confraternita e in seguito, alla metà del ‘600, con il trasferimento dei confratelli nella nuova sede, è divenuta la chiesa della Compagnia di S. Elisabetta, che è l’espressione “al femminile” delle associazioni religiose laicali. Le consorelle, maritate o vedove, erano dette “Umiliate” e vestivano un saio giallo. Le “Umiliate” avevano assunto come patrona S.Elisabetta d’Ungheria, moglie e poi vedova di Ludovico Langravio (principe) d’Assia e Turingia, in quanto rappresentava un modello di virtù per le donne, sia coniugate, sia vedove. La Compagnia di S. Elisabetta celebrava la festa il 19 novembre, nella propria chiesa, in modo solenne, addobbando l’altare con arredi e tappezzerie.Ogni anno nominava le proprie rettrici (o priore), le quali si occupavano degli obblighi della Compagnia. Allestivano le funzioni sacre ed accompagnavano le sepolture insieme alla Compagnie delle Figlie di Maria (eretta con bolla vescovile il 16 maggio 1918), di S. Luigi Gonzaga, detta dei Luigini, nata il 5 settembre dello stesso anno e dei disciplinanti della Confraternita di S. Giovanni Evangelista, detta dei "Battuti Rossi". L’interno della chiesa è a navata unica con volte a crociera. Alle pareti vi sono cinque quadri, opere di Francesco Toscano, che illustrano scene della vita di Santa Elisabetta. La pala d’altare, dello stesso autore, raffigura il "transito" della Santa.
Chiesa della Confraternita di San Giovanni Evangelista o dei Battutti Rossi (XVII SEC.)
È ubicata sul lato sinistro della Piazza Umberto 1°, in alto, tra il campanile romanico e la “casa dei portici”. Fu costruita nel XVII secolo (1657-1658) poiché la Confraternita della S.S. Trinità (sodalizio dei disciplinanti le cui origini risalgono al XV secolo) aveva la necessità di ampliare la propria sede per le funzioni e le riunioni. Il primitivo oratorio dei confratelli era l’aula medievale, ancora esistente, posta ai piedi dell’antico campanile che, alla metà del ‘600 divenne la chiesa delle Umiliate, le consorelle di S. Elisabetta.La chiesa della Confraternita si presenta sobria e lineare: la facciata è piana, appena mossa da due nicchie laterali al portale che ospitano le statue della Fede e della Carità. Le lesene sono caratteristiche, con il loro non casuale colore rosso, ripreso anche nel campanile. Conclude la facciata il timpano con il “titulus”, la dedicazione a Dio ottimo e massimo e a S. Giovanni Evangelista, con l’anno 1801, data della primitiva decorazione e l’anno 1987 a ricordo di un intervento di restauro proseguito negli anni successivi. Il campanile della Confraternita, elegante nella forma e nei colori, conserva un’antica campana fusa a S. Albano nel 1770.L’interno della chiesa è un perfetto rettangolo, costituito da un’unica navata: l’aula si apre con una tribuna sorretta da sei colonnine in stile ionico. La volta è a botte con degli spicchi, l’altare è in stucco marmorizzato e dipinto. Nel centro si conservano, in un’urna argentata con fregi, le reliquie di San Venturino e San Amato. Interessanti sono il presbiterio, il pulpito in legno, la tribuna e la colonna per l’acqua santa. All’interno, nella tribuna, i banchi erano disposti a parlamento, mentre al centro si sedevano i rettori (o priori) che conducevano gli uffizi. In un angolo, per comoditàdei confratelli, c’era la corda della campana con la quale essi davano i segnali dei divini uffizi, invitavano i fedeli alla preghiera ed avvertivano la minaccia di un temporale. Il libro dei conti dei confratelli conteneva deliberazioni della Confraternita e conto spese. Il tesoriere pagava materialmente i pittori o gli artigiani che vi lavoravano. I confratelli (o disciplinanti) erano chiamati “Battuti Rossi” dal colore della divisa: una cappa e mantellata di colore rosso con cingolo ai fianchi. I confratelli vantavano, fin dal 1583, l’aggregazione all’Arciconfraternita romana della S.S. Trinità. Ad una regolata ed esigente vita spirituale si affiancava un’attenta amministrazione dei beni che la Confraternita possedeva consentendole la gestione dell’Ospedale della S.S. Trinità (l’attuale Soggiorno per anziani), amministrato fino alla metà dell’800, l’accoglienza dei pellegrini, l’assistenza ai malati, ai bisognosi e ai poveri nelle ricorrenti carestie. La chiesa conserva una bellissima pala di Sebastiano Taricco (S.S. Trinità con S. Giovanni Evangelista) del 1689, inserita entro un raffinato dossale in stucco dorato e dipinto da attribuire a maestranze lombardo-ticinesi. Tra gli altri dipinti in chiesa è da segnalare una Natività con santi di influenza clarettiana e un’Ultima cena tardo settecentesca di timbro veneto, da avvicinare alla cultura di Giuseppe Chiantore. La testimonianza più antica, relativa alla Confraternita della S.S. Trinità è un Cristo crocifisso, opera lignea della prima metà del ‘400 con croce ottocentesca, restaurato negli anni ‘90 del Novecento, custodito nell’antico oratorio di S. Elisabetta.
Cappella di Santa Lucia (XVI SEC.)
La cappella di Santa Lucia, che si trova appena fuori dal concentrico lungo la strada per Salmour, a poca distanza dalla cappella della Madonna delle Vigne, ha una storia per tanti versi simile a quella delle altre cappelle del territorio. Documentata già nel 1582, fin dall’origine era di proprietà privata e costruita probabilmente come “ex voto”. Di proprietà del nobile Matteo Aragno e dei suoi eredi e della famiglia Guslini, venne rifatta alla fine del ‘600 (autorizzazione ottenuta il 10 dicembre 1695). Nel 1791, dopo alcuni interventi di sistemazione dell’altare e di pulizia, fu posta nell’elenco delle cappelle campestri senza particolari annotazioni. Cadde però di nuovo in stato di abbandono (si smise di celebrare nel 1827) e venne restaurata nel 1896 dalla famiglia Quaglia. Divenuta di nuovo cadente, in tempi recenti, ottenuto il consenso dell’arciprete don Giacomo Briatore e della famiglia Quaglia, la cappella è stata sottoposta a un deciso intervento di recupero, anche dell’area circostante, curato dal Gruppo Alpini di Trinità, per farne luogo di memoria per i Caduti di tutte le guerre. Nel 1985 si pose sul tetto anche un piccolo campanile con una campana fusa appositamente. Martire del IV secolo, Santa Lucia è venerata in tutto il mondo. Il significato del suo nome è richiamato dal simbolismo della luce, ricco di sfumature e di sensi profondi. Denunciata come cristiana, Lucia venne torturata crudelmente, fino a strapparle gli occhi: per questo S. Lucia è invocata contro le affezioni agli occhi. E gli artisti l’hanno sempre raffigurata in atto di presentare, su un piatto, gli occhi divelti. Così è anche raffigurata nella facciata della sua cappella in un quadro del trinitese Fausto Rosa. La sua festa ricorre il 13 di dicembre.
Cappella di San Sebastiano (XV - XVI SEC.)
Situata in via Roma, un tempo denominata Contrada di Mondovì o Contrada (Riva) di S. Sebastiano. Fu edificata, come voto della Comunità per la liberazione dalla peste, probabilmente tra il XV ed il XVI secolo. Il campanile venne costruito nel 1906 e dotato di campana del peso di 40 chilogrammi, donata dal Cavalier Crosa. Come la cappella di San Rocco, costruita nello stesso periodo, la cappella di S. Sebastiano si trova alle porte dell’abitato per proteggere gli abitanti dal morbo. Inizialmente era aperta e in seguito, per ordine di mons. Gerolamo Scarampi (1582), venne chiusa da una porta. In caso contrario si sarebbe dovuto togliere l’altare. Oggi, la cappella, si presenta con una struttura semplice e lineare. Sulla parete di fondo è stato ritrovato un affresco della Madonna con il bambino tra le braccia, contornata da una cornice a cartiglio. Probabilmente, di affreschi, ne esistevano molti altri, ma la grande umidità dei muri e del pavimento non ne hanno consentito la conservazione. Importante sotto il profilo pittorico è il grande quadro di San Sebastiano dipinto da Giovanni Antonio Molineri (1577-1645). Questa “pala” è stata restaurata, insieme alla cornice nel 1988. Da una cartella posta sotto la cornice sappiamo che la cappella subì un restauro nel 1804, ma ancora nel 1829 l’altare era in “cattivissimo stato” e la tela “un po’ inconcia”. La nuova tela con il martirio del santo venne eseguita dopo tale data da Luigi Molineris, commissionata probabilmente dalla comunità a cui spettava la manutenzione della cappella. La bella cornice lignea tardo seicentesca è stata adattata alle dimensioni della tela e proviene da un altare con tabernacolo, come dimostra la parziale mancanza di modanatura nella parte inferiore. Le frecce del supplizio di S. Sebastiano (soldato romano del III secolo, martirizzato per la sua fede cristiana) rappresentano le frecce dei castighi di Dio. Siccome il Santo ne uscì indenne, quello fu il segno di una particolare protezione contro il castigo divino delle Pestilenze. Tale venerazione era forte soprattutto nel Medioevo fino al secolo XVII, insieme al culto di San Rocco, Sant’Antonio e San Cristoforo. Nel 2000 la cappella, alla quale si va in processione alle Rogazioni, è stata stata sottoposta ad un intervento di restauro conservativo.
Cappella di San Rocco (XV SEC.)
La costruzione di questa cappella risale al XV secolo, seconda per antichità solo alla cappella dell’Annunziata. Pitture ed affreschi all’interno della cappella risalgono all’inizio del ‘500. Si trova in campagna, lungo la via Sottocosta (strada vecchia verso Bene Vagienna). Molte sono le analogie con la cappella di S. Sebastiano, altro santo “ausiliatore”, invocato come San Rocco nei tristissimi periodi delle pesti che erano ricorrenti nei secoli passati. Analogamente alla cappella di S. Sebastiano anche quella di S. Rocco è situata fuori le mura del paese quasi a presidio e difesa, ma anche perché intorno vi si costruiva il “lazzaretto” per gli appestati, lontano dalla possibilità di nuovi contagi. Entrambe le cappelle sono di patronato della comunità trinitese che aveva fatto un voto per la liberazione dalla peste. Frequentata da viandanti e pellegrini, in origine, forse era priva dell’attuale parete d’ingresso. Sulla parete di fondo, infatti, è riportata una grande raffigurazione di S. Cristoforo (protettore dei viandanti) che doveva essere vista da chi transitava. L’immagine di questo santo veniva sempre dipinta sulle pareti esterne delle chiese o della cappella, oppure nell’interno sulla parete sinistra. Era credenza popolare che coloro che vedevano l’immagine non sarebbero morti quel giorno. La cappella fu comunque chiusa dopo la visita di mons. Scarampi (1582), che ne proibiva la celebrazione se non si fosse restaurata e sistemata secondo le prescrizioni vigenti. La severità del visitatore apostolico si fece sentire a Trinità anche per altre cappelle e per la stessa antica parrocchiale. Si trattò di una severità proficua, se quasi tutte le cappelle di allora sono state conservate fino ad oggi. All’interno conserva, sulla parete di fondo, un affresco cinquecentesco (secondo quarto del XVI secolo) in parte ritoccato. Una Pietà (la Madonna addolorata con Gesù sulle ginocchia) di gusto un po’ nordico e defendentesco ne occupa la parte centrale, mentre ai lati, andando dal centro verso sinistra si trovano S. Antonio Abate, S. Rocco e S. Anna; dal centro verso destra S. Sebastiano, S. Francesco d’Assisi (che riceve le stigmate) e San Cristoforo. Due colonne a trompe l’oeil incorniciano lateralmente la scena che prosegue sulla sinistra con una ottocentesca Educazione della Vergine e sulla destra con un S. Cristoforo che porta sulle spalle il Bambino Gesù con il globo, fortunatamente risparmiato dai ritocchi. All’origine della tradizione della festa nei prati che ricorre il 16 di agosto (secondo la tradizione S. Rocco morì il 15 di agosto, festa dell’Assunzione, così il 16 dello stesso mese divenne il giorno della sua festa) era la benedizione dei buoi. Ora si benedicono le macchine e i trattori. In primavera la cappella è meta delle Rogazioni.
Cappella di San Giuseppe (XVIII SEC.)
San Giuseppe è la cappella del cantone della Ruata Soprana (al bivio tra le vie Salmour e Damilano), detto in gergo di “Rissurane”, un nome antico che si trovava scritto così già nei documenti del ‘600. La cappella non è tra le più antiche del paese, ma era già esistente nel XVIII secolo. Non è di grandi dimensioni ed è molto semplice nella sua struttura. Il quadro dell’altare raffigura il “transito” di S. Giuseppe (Giuseppe muore assistito e confortato dalla presenza di Gesù e di Maria) ed è una tela ottocentesca di buona fattura. Un tempo, nella cappella, si celebravano oltre alla festa di S. Giuseppe il 19 di marzo, anche la festa di Santa Brigida il 1° di febbraio e quella della Madonna del Pilone (Maternità di Maria) la seconda metà di ottobre. S. Brigida di Kildare, badessa irlandese vissuta tra il V e il VI secolo, è patrona d’Irlanda, seconda solo a S. Patrizio nella venerazione del suo popolo. Per la Madonna del Pilone si tratta di una devozione già praticata nell’antica chiesa parrocchiale e trasferita in questa cappella quando, nel 1760, si cominciò a demolire l’antichissimo edificio della Parrocchiale e si avviò la costruzione dell’attuale. Il campanile venne eretto nel 1876 e porta una campana di circa 50 chilogrammi. La campana era prima “sostenuta sul coperto della cappella da due colonne” a significare che esisteva un campanile a vela. Una lapide ricorda l’intervento della popolazione del cantone e in particolare la generosa offerta del fornaio Picco Antonio per la croce. Nel 1880 si costruì la piccola sacrestia. Così come appare la facciata della cappella è stata restaurata nel 2001. Luogo di devozione e preghiera, è meta ancora oggi delle Rogazioni. I quadretti votivi alle pareti, testimoniano grazie e favori ottenuti per l’intercessione di S. Giuseppe.
Cappella di San Giorgio (XVI SEC.)
Documentata fin dal secolo XVI, la cappella di S. Giorgio sorge fuori dall’abitato, sulla strada per Fossano e conserva, nella facciata, un dipinto che può essere datato alla fine del ‘500: sul cavallo bianco, che s’impenna come dopo una rincorsa, il santo è vestito alla maniera dei soldati romani, nella destra la lunga lancia che inforca il drago. In disparte la figlia del re - vittima votata a crudele sacrificio - che ora è salva e con lei tutta una città che viveva nell’incubo per la presenza dell’orrendo mostro assetato di sangue. Dallo sfondo sfumato dell'affresco emerge l'antico campanile simbolo di Trinità. È in succinto la leggenda che circonda la figura storica di S. Giorgio: martire del IV secolo di Lidda, in Palestina, diventato talmente famoso in oriente e in occidente, da perderne i contorni storici: ma leggenda qui sta a dire il favore popolare e la simpatia per un santo che ha affrontato grandi prove e ha subito la morte per essere fedele al Signore. S. Giorgio morì decapitato nella persecuzione di Diocleziano (un ciclo di affreschi sul suo martirio, con un importante catechesi sul battesimo, si trova nella chiesa parrocchiale di Villar San Costanzo). Il culto di S. Giorgio é esteso ovunque nel mondo, patrono di paesi e città, fin della stessa Inghilterra. In lui sono allo stesso tempo la mitezza e la forza: il suo nome vuol dire agricoltore, uomo dei campi, trasformato in soldato per l’esercizio delle armi spirituali elencate da S. Paolo nella lettera agli Efesini (cap. 6). S. Giorgio a cavallo ha ispirato, tanti secoli fa, la costruzione della cappella, promotori - certamente - i cavallanti e i carrettieri di Trinità, numerosi allora e fino al recente passato. Un diploma di Emanuele Filiberto, che premia di elogi ed esenzioni gli “huomini de la Trinità”, riconosce che essi, al tempo degli assedi, “havevano condotto a la città di Cunio bona quantità di grani, vini et altre vittuaglie con ventiquattro para dei buoi”. “In vero - leggiamo ancora nel Muratori - non é gran tempo che dai nostri carrettieri si faceva grande trasporto d’olio e di carbone a Torino ed altrove”. Erano viaggi difficili su strade pericolose: “quella di Fossano era una viuzza dei campi, che per vari angoli e curve, rasentando S. Bartolomeo e tirando innanzi per la Savella, faceva capo al porto di S. Lazzaro. Meno male se questo fosse sempre stato praticabile! Nelle piogge primaverili ed autunnali, nella fondita delle nevi, la Stura non permetteva il varco...”. E poi non erano rari i casi di brigantaggio di notte, con pericolo di perdere, con il carico, anche la vita. E come c’era San Cristoforo a proteggere i viandanti e i pellegrini, così ci voleva S. Giorgio per chi andava a cavallo. Ecco l’origine della cappella, che oltre all’affresco sotto il portico, non presenta altri richiami d’arte. Tuttavia la costruzione ha sfidato i secoli e ancora oggi è luogo di preghiera e si celebra la Messa la mattina della festa. Poi si benedicono i cavalli, ormai pochissimi, e le macchine. Alla festa del Santo era legata anche la corsa dei cavalli, poi interrotta a seguito di un grave incidente.
Cappella di San Bartolomeo (XVIII SEC.)
Situata in frazione Savella, lungo l’antica strada di Fossano, la cappella di S. Bartolomeo è una bella costruzione barocca risalente al 1755. Venne edificata per iniziativa dell’abate Venceslao Boetto, fossanese, la cui famiglia possedeva una grande estensione di terre nella zona. La cappella è una costruzione armoniosa di dimensioni non grandi (capace di contenere una cinquantina di persone) a navata unica. L’esterno della chiesa, rimesso a nuovo nel 1996, è segnato da lesene sulle pareti laterali e in facciata; i muri sono coperti da intonaco, mentre la porta di ingresso è sormontata da una grande finestra e questa, a sua volta, da un timpano che conclude la facciata. All’interno, l’edificio si presenta quindi piuttosto alto. La volta a botte è conclusa, sul presbiterio, dal catino e dall’abside circolare. L’altare, originariamente in muratura, è stato sostituito nel 1975 dall’attuale, donato dalla famiglia Mana. Il campanile non è unito alla chiesa ma è posto sul tetto della cascina di S. Bartolomeo. La campana fusa nel 1799 per iniziativa del massaro Michele Rattalino, fu pagata con le offerte della popolazione. Elemento di pregio, nella cappella, è la pala d’altare, grande quadro posto nell’abside, che raffigura la Madonna col Bambino, S. Bartolomeo apostolo (con in mano il coltello in riferimento al suo martirio) e S. Grato (rivestito delle insegne vescovili), vescovo di Aosta. Tra i due santi è dipinto un pozzo, nel quale va a cadere la grandine. S. Grato è infatti invocato come patrono delle campagne e protettore contro la grandine. L’opera, datata 1788, è del pittore Giovanni Domenico Molinari, allievo del Beaumont. La tela fu sottoposta a restauro nel 1972. Antico insediamento romano (nel 1950 si scoprirono tombe dell’epoca nei lavori di aratura), la Savella ospitò dall’epoca medievale (sec. XI) e fino al 1592 la presenza dell’importante monastero femminile di Cellanova. Altre presenze monastiche si succedettero nei tempi, fino alla soppressione napoleonica del 1802 e all’incameramento dei beni ecclesiastici da parte dello stato sabaudo nella seconda metà dell’800. Possedevano terre alla Savella i monaci camaldolesi, i padri somaschi, gli agostiniani di Cussanio, i gesuiti di Mondovì, le monache di S. Chiara e vari ecclesiastici di famiglie nobili.
Cappella dell'Annunziata (XII - XIII SEC.)
Situata sul lato destro del Rio Canavasso, attuale via Marconi, è la Cappella più antica del paese (XII-XIII Sec.). Di stile romanico è una costruzione in mattoni alternati a ciottoli tenuti insieme da malta. I muri sono affrescati, il soffitto della navata è con travi nude, le volte sono a capriate (tipiche del medioevo), la copertura è in coppi. La tradizione la indica come l’antica Parrocchia del paese, però non vi sono riscontri storici in tal senso. L’antica parrocchiale, che risaliva con ogni probabilità al secolo XIV, era situata a fianco del campanile romanico (sottoposto nei primi anni del 2000 ad impegnativi lavori di consolidamento statico e di restauro conservativo) che ancora adesso domina il paese e ne è come il simbolo. Tuttavia la sua ubicazione sulla sponda di un corso d’acqua e la presenza nei dintorni di alcune tombe, fanno pensare che essa potesse essere una Pieve o una “cappella cimiteriale”. All’interno della cappella si svolgevano tre tipi di sepoltura, tra cui quella per i fanciulli che si seppellivano separatamente e che erano lontane dalla predella dell’altare e chiuse a dovere. L’edificio, affiancato da un piccolo campanile, era chiuso da cancelli e decorato (1582). Possedeva beni mobili ed immobili. Dietro un quadro, posto sopra l'altare, venne ritrovato l’affresco dell’Annunciazione risalente al tardo gotico (XV sec.). L’altare è in stile barocco. L’Annunziata probabilmente è stata il primo luogo di culto fino al XIV secolo. Prima della parziale demolizione sporgeva forse tre o quattro metri sul piazzale che le sta davanti e non era chiusa da volta; il resto si rovinò nell’incendio del 1554 e non si pensò di ricostruirlo. Sulle pareti laterali vi erano affreschi del XII-XIII sec. molto ben conservati. Nel 1858 la cappella venne ridotta circa della metà (10,60x5,90 mt.), per far posto al “prato della fiera”, attuale piazza Conte Costa. In quella occasione vennero coperti gli affreschi, antichissimi, che decoravano le pareti. Fu cancellata la raffigurazione di S. Orsola con le compagne, che si trovava sul muro di fondo, mentre fu risparmiata, forse per motivi devozionali, l’Annunciazione (databile intorno al 1530), tutt’ora visibile al centro. Venne quindi coperto il rio Canavasso: il ponte sul rio (ponte dell’Annunziata) collegava questa via con quella del cimitero (attuale via Stazione). Nel 1888 venne decorata la volta. Nell’interno si trovano il quadro di Sant’Agata, insieme a quello di Santa Lucia e dell’Addolorata. Vi sono inoltre altri quadretti di devozione popolare e alcune tavolette ex-voto. Nei pressi di questa cappella va segnalata una Madonna del Latte databile intorno alla metà del XV secolo.
Cappella dell'Addolorata (XVII-XVIII Sec.)
É situata in Frazione Molini, a due chilometri circa dal capoluogo. L’edificio risale al XVIII secolo e la sua costruzione, realizzata con materiali preesistenti (ritrovamento di un coppo datato 1561) durò tre anni. All’edificazione della cappella (iniziata nel 1696) partecipò la gente del posto e mattoni e coppi furono sfornati dalla fornace della Frazione. Nel 1999, ricorrendo il terzo centenario della costruzione, la cappelle venne sottoposta ad un importante intervento di restauro conservativo. L’architettura dell’edificio è armonica: ha una navata unica e le linee barocche sono essenziali. All’interno, sopra l'altare, si trova la statua dell’Addolorata (statua della Pietà), in legno. Nel 1723 si completò l’esterno e si eseguirono alcuni ampliamenti. Il campanile fu edificato alla fine del ‘700. L’Addolorata venne costruita su richiesta della popolazione locale che aveva difficoltà a raggiungere Trinità a causa del terreno fangoso e pericoloso. All’epoca, infatti, questo era un luogo piuttosto paludoso. Intorno alla cappella, punto di riferimento religioso per i residenti della zona, si formerà il centro abitato dei Molini, costituito essenzialmente da malgari, massari, molinari e giardinieri. Qui si trovava la macina del Conte. Alla fine del ‘700 si verificarono molte migrazioni, dette “San Martino”, dovute alle difficoltà dei tempi (povertà, epidemie, guerre). Fra le tradizioni religiose della cappella si ricorda la benedizione alle puerpere. Accadde anche di fronte alla cappella dei Molini che, complice la povertà delle famiglie, si “esponessero alla porta” i neonati. La cappella dell’Addolorata è preceduta, lungo la via dei Molini, da cinque piloni che la collegano alla cappella della Madonnina: un percorso di sette tappe dedicate ai dolori della Vergine. I dipinti sui piloni sono stati eseguiti dal saviglianese Domenico Cardellino.
Cappella della Presentazione di Gesù al Tempio o della Madonnina (XIX Sec.)
Si trova al bivio tra la Via Levata e la Via dei Molini. Risalendo al 1830, non vanta l’antichità di altre cappelle del territorio trinitese. Prima di questa cappella, a pochi metri di distanza, esisteva una chiesetta intitolata a S.Bernardo Abate (da cui si denominava anche la circostante regione) di proprietà della famiglia Muratori. In stato di rovina, non venne più ricostruita. Verso il 1830 la famiglia Braida edificò a pochi metri dall’abitato nell’uscire verso levante, una nuova chiesetta dedicata appunto alla Purificazione di Maria SS.ma, cioè alla Presentazione di Gesù al Tempio, volgarmente chiamata “La Madonnina”. Di proprietà della famiglia Braida che la fece erigere per devozione alla Madonna, negli anni 1879-80 la cappella della Madonnina venne ampliata dalla famiglia Leone che ne diventa proprietaria. Lorenzo Leone, il capofamiglia ne fece costruire il campanile e vi pose, con la croce, la bandierina con le iniziali del suo nome. In seguito, pur restando di proprietà privata, la cappella venne curata dai massari del rione. La facciata si presenta sobria; nel timpano vi è un cuore trafitto da una spada, così come nella cappella dell’Addolorata ai Molini, vi è un cuore trafitto da sette spade per ricordare i sette dolori di Maria. Le due cappelle sono collegate, lungo la via dei Molini, da una serie di piloni dedicati appunto ai sette dolori della Vergine. La loro costruzione risale alla fine del ‘700 e le pitture sono del saviglianese Domenico Cardellino. I piloni esistenti sono cinque ai quali si aggiungono quelli “ampliati” con la costruzione della cappella dell’Addolorata e della Madonnina. Il primo pilone, trasferito dentro la cappella della Madonnina nel 1830, nel 1880 fu mascherato con una parete che chiude la sacrestia. L’ultimo, che è la cappella dell’Addolorata, contempla il doloroso momento della Deposizione di Gesù sulle ginocchia della Madre e della sua sepoltura. All’interno della cappella della Madonnina si trova la nuova icona dell’altare dipinta da Pietro Balbo, pittore monregalese che lavorò anche alla decorazione della chiesa parrocchiale della S.S. Trinità insieme con il Vinai e il Toscano. Sostavano a pregare nella cappella i trinitesi che andavano ai Molini, il luogo che prese il nome dalla macina del Conte Costa.
Cappella della Madonnina dei Pruche (XIX Sec.)
Si trova nella frazione di S. Giovanni, sulla strada che attraversa la borgata Perucca (“Pruche” in lingua locale) e conduce ai campi e ai vigneti sul Beinale. Un pilone con la Madonna di Vico è all’origine della cappella, che venne edificata nel 1892. “La Madonnina” - questo è il nome con cui viene chiamata dalla gente del posto - si presenta con lineamenti semplici, sobri ed austeri, a testimonianza dell’operato degli stessi artigiani locali. L’edificio si sviluppa su una pianta rettangolare di modeste dimensioni con muri perimetrali in mattoni a vista, che si elevano sino al piano di imposta della volta. L’ingresso è protetto da uno stretto porticato, sorretto da due colonne. Nella parte posteriore si trova un locale adibito a sacrestia, dalla quale si accede anche alla torre del campanile, costruito adiacente alla chiesa ma con muri autonomi. All’interno, la navata è coperta da una volta a botte, sorretta da quattro arcate a tutto sesto, decorata con una Ultima Cena e le Nozze di Cana. L’icona dell’altare raffigura, su tela, la Madonna di Vicoforte. Ai lati dell’altare, sono affrescate le virtù teologali della Fede e della Speranza; tutto l’interno è arricchito da una leggera decorazione barocca. Sulla facciata della cappella è conservata una immagine della Madonna, che era un tempo racchiusa nell’antico pilone votivo. Lo testimonia la lapide di marmo sottostante. La costruzione della cappella dei “Pruche” avvenne per tramandare ai posteri la devozione a Maria. I posteri hanno raccolto questo invito e si dedicano con fervore alla cura della cappella, mantenendola in buono stato di conservazione. La devozione è testimoniata da molti segni: durante la guerra, ad esempio, le mamme portavano alla cappella le fotografie dei figli soldati per invocare su di loro la protezione della Madonna. La festa popolare della Madonnina ricorre ogni anno l’8 di settembre.
Cappella della Madonna degli Alteni o delle Vigne (XVII SEC.)
E’ posta su un poggetto, appena fuori dal paese, sulla strada che conduce al vicino Comune di Salmour. Di struttura semplice: tre piccole finestre con porticato, visibile da distante e attorniata da vigneti, questa costruzione risale al ‘600, ma la sua origine è molto più antica. Probabilmente, nello stesso sito esisteva già una cappella medievale dedicata alla Natività della Madonna, invocata anche come “Madonna delle Grazie” o “degli Alteni” per la sua posizione quasi a custodia dei filari delle viti. Come avveniva per le altre cappelle di epoca medioevale (si veda S. Rocco), la chiesa doveva essere aperta per fornire la sosta ai numerosi viandanti o pellegrini che nel loro viaggio vi facevano riferimento. Non a caso la cappella si trova lungo l’antica strada di S. Giacomo, uno dei percorsi storici verso Santiago di Compostela (Spagna): dal Nord Europa i pellegrini transitavano anche da queste parti per raggiungere il luogo dove secondo la tradizione è sepolto l’apostolo Giacomo. A Trinità, questi pellegrini, potevano contare anche sull’assistenza della Confraternita dei Battuti Rossi, che offrivano ospitalità e soccorso. All’interno, il quadro principale (pala d’altare), rifatto nel ‘700, raffigura la Madonna di Vico tra l’Arcangelo San Michele e San Grato, protettore dalla grandine. La campana della cappella veniva infatti suonata per scongiurare questo pericolo. Il 7 settembre, contemporaneamente con i “fuochi della gioia” di Mondovì, anche nei pressi della Madonna delle Vigne, così come su tutte le colline, intorno al santuario di Vico, si accendevano i falò, segno di festa e di richiamo alle vere origini della cappella.
Cappella della Madonna Coronata o di San Mattia (XVI SEC.)
É ubicata sulla via per Fossano. Già esistente nel 1582, ha una struttura molto semplice ed un piccolo campanile a vela con una campana proveniente dall’antica casa dei Braida a cui la cappella (e tutta la suppellettile necessaria alle funzioni) appartenne dopo il 1844. Prima, fino ad Ottocento avanzato, la cappella apparteneva alla famiglia di Carlo Bonada. Probabilmente l’edificio è stato rifatto e ampliato nel ‘600 per iniziativa della famiglia Bonada. Nata come “cappella di famiglia”, oltre che ai Bonada e ai Braida la cappella appartenne anche alla famiglia israelita dei Colombo che la donò alla Parrocchia nel 1920. La tela dell’altare, ritenuta molto preziosa e databile alla fine del ‘600, raffigura la Vergine Incoronata dalla SS.Trinità. Completano il quadro la figura di un angelo che regge il manto della Madonna, San Giovanni Battista, San Mattia e San Pietro. Nella parte inferiore del quadro è visibile uno stemma con sei cerchi in campo azzurro che è riferibile al ramo cuneese della famiglia Braida, poi estinto. Questo stemma è ripetuto anche sui due battenti del cancello in ferro battuto che, con ingegnoso meccanismo, permette di tenere aperto il portale e chiusa la cappella, in modo da far assistere alle funzioni l’intera comunità. Verosimilmente in questa zona, tra questa cappella e quella di San Giorgio (più avanti lungo la via per Fossano) esisteva una Cappella dedicata a San Pietro, che venne poi demolita.